Come si fa a dire che la serie è al 98% storia vera quando in due secondi si scopre che solo il 2% è verità?
Netflix Italia ha suscitato grande attesa con il lancio di “Supersex”, una serie che prometteva di raccontare la storia di Rocco Siffredi, uno dei più noti attori dell’industria pornografica, con un focus sul 98% di verità riguardante la sua vita e carriera.
Tuttavia, la serie ha finito per sollevare un polverone di controversie e delusioni, non tanto per i contenuti espliciti, quanto per la sua aderenza alla realtà.
Il fulcro della critica si concentra sull’affermazione iniziale della serie: che il racconto fosse vero al 98%, un’affermazione che si è rapidamente sbriciolata alla luce di una narrazione che sembra inventare più di quanto riveli. Il personaggio di Tommaso, interpretato da Adriano Giannini, è presentato come una figura chiave nella vita di Rocco, un fratello che non solo non esiste ma il cui ruolo centrale nella trama rappresenta la maggior parte delle invenzioni narrative.
Questa rivelazione trasforma la serie in un’opera che, anziché esplorare la complessità di Rocco Siffredi oltre la sua carriera nel porno, si immerge in una finzione quasi totale, lasciando solo un residuo, forse il 2% menzionato, di verità. Questa piccola frazione sembra rivelare soltanto i tratti più banali e superficiali della vita di Siffredi, riducendone la storia a un cliché del ragazzo di campagna che scopre il sesso e si lancia nell’industria pornografica.
Ancor più grave è la scelta narrativa di attribuire ogni maleficio o problema a un gruppo etnico specifico, gli “Zingari”, un approccio che è stato ampiamente criticato per il suo intrinseco razzismo. Questa rappresentazione non solo mina ulteriormente la credibilità della serie ma solleva anche questioni etiche serie sulla responsabilità dei creatori nel perpetuare stereotipi dannosi.
In sintesi, “Supersex” si allontana drasticamente dalle aspettative, offrendo una narrazione che non solo fallisce nel raccontare la storia autentica di Rocco Siffredi ma si avventura in territori eticamente discutibili. Ciò che era stato promesso come un’illuminante esplorazione della vita di una delle figure più iconiche del porno si rivela una narrazione in gran parte inventata, macchiata da scelte narrative problematiche e accuse di razzismo.
La serie “Supersex”, nonostante le critiche riguardo alla sua aderenza ai fatti reali, ha offerto agli spettatori un’esperienza indubbiamente coinvolgente, grazie soprattutto a un cast di alto livello e a una performance notevole da parte di Alessandro Borghi nel ruolo di Rocco Siffredi. Borghi, che aveva preannunciato di non voler cadere nella trappola dell’imitazione ma piuttosto di cercare un’interpretazione personale del personaggio, è riuscito sorprendentemente a incarnare l’essenza di Siffredi al punto da far credere agli spettatori di stare osservando lo stesso Rocco, se non addirittura una versione più intensa di lui.
Questa capacità di Borghi di “clonare” Siffredi, unita a un ensemble cast affiatato e talentuoso, ha reso la visione di “Supersex” piacevole e appassionante, tanto da superare le aspettative di molti e presentarsi come un’opera di qualità nell’ambito delle serie televisive italiane su Netflix. Il successo iniziale e l’apprezzamento per la serie, tuttavia, sono stati in parte offuscati dalla successiva scoperta che molti degli eventi e dei personaggi, cruciali per la narrazione, erano frutto di invenzioni piuttosto che di fatti autentici.
Questo divario tra la rappresentazione e la realtà ha trasformato l’esperienza post-visione per molti da entusiasmante a deludente, relegando “Supersex” tra quelle produzioni che, nonostante una realizzazione ineccepibile sotto molti aspetti, rischiano di essere rapidamente dimenticate dal grande pubblico, simili in questo al destino dell’ultimo capitolo di “Suburra”.
La realizzazione che gran parte della trama fosse un’elaborazione creativa piuttosto che un fedele resoconto della vita di uno dei più iconici personaggi del mondo dell’adult entertainment ha alterato significativamente la percezione della serie, spostandola da potenzialmente iconica a una tra tante.